Qualche tempo fa ho avuto il privilegio di visitare il Museo Privato Bisagno, a Verona, dedicato al golf. C’è tutto: ferri antichi che sembrano usciti da un romanzo di Dickens, palline più vissute di un passaporto pieno, trofei, fotografie, scorecard ingiallite. E poi c’è una sensazione difficile da descrivere: come se qualcuno avesse preso la memoria del golf e l’avesse resa tangibile. Per un filosofo golfista la visita diventa subito un’occasione per riflettere: che cos’è, davvero, la memoria? E che ruolo ha nel nostro gioco, nel nostro modo di stare sul campo e nella vita?
Marco Bisagno, avvocato e anima della collezione, non ha raccolto solo oggetti. Ha raccolto storie. La propria, quella di suo figlio scomparso giovane cui il museo è dedicato, quella di una famiglia e di un amore che ha trovato nel golf un modo per continuare a vivere. Non è un museo da guardare in silenzio: è un museo che ti parla. Ogni oggetto sembra dire: “Io ero lì. Ricordi?” E noi, inevitabilmente, vorremmo rispondere. Dai bastoni di legno ai primi ferri in acciaio, passando per le prime palline dimpled, tutto racconta di un golf che non abbiamo vissuto ma che ci appartiene, che ci ha forgiato. Qui è difficile non emozionarsi.
Siamo abituati a pensare al golf come a uno sport tecnico, fisico, mentale e spesso dimentichiamo che c’è qualcosa che lo attraversa come una corrente sotterranea e che rende tutto possibile: la memoria.
Non solo quella che ci fa ricordare i momenti belli e quelli brutti, ma quella che ci abita nelle mani, nel corpo, nei gesti. Come diceva Sant’Agostino nelle Confessioni: “La memoria è il presente del passato.” Se il presente è il colpo che stiamo per tirare, allora la memoria è la voce che ci sussurra: “Ricordi? Quel ferro 7 al centro del green… Non era poi andata così male.”
Nel Museo Bisagno capiamo che la memoria non è solo ciò che ricordiamo, ma ciò che scegliamo di non dimenticare. La memoria è una pietra angolare della nostra identità. Non siamo la somma dei colpi che abbiamo fatto, ma la somma dei colpi che ricordiamo. Come suggerisce David Hume nel Trattato sulla natura umana, “L’identità personale è un fascio di percezioni.” Per noi quel ‘fascio di percezioni’ è l’insieme vivo del ricordo dei nostri colpi: quelli splendidi e quelli da dimenticare, le imprecazioni represse e i sorrisi imprevisti, i ferri presi pieni e i driver dispersi nel bosco. Per questo, quando torniamo dal campo, il compito non è cancellare ciò che è successo, ma scegliere quali percezioni portare con noi: custodire quelle che ci fanno crescere, trasformare quelle difficili in esperienza, e lasciare che ogni nuovo colpo si aggiunga al ‘fascio’ – non come peso, ma come possibilità.
Il filosofo tedesco Immanuel Kant affermava che “l’esperienza senza memoria non sarebbe esperienza”.
Per il golfista – come per chiunque pratichi uno sport o una disciplina – la memoria costituisce lo strato invisibile che tiene insieme tutto.
La memoria è una corda tesa tra passato e futuro. Nel golf, questa corda la tendiamo a ogni colpo. Quando prendiamo un ferro, non è mai solo il ferro di oggi: è la memoria, e perciò l’esperienza, di tutti i ferri che abbiamo usato. Perciò la memoria non serve solo per ricordare ma per allenarsi. Quando alla fine del giro ripensiamo ai colpi, non è nostalgia: è ‘manutenzione’ del gesto. Così come in campo pratica ripetiamo più e più volte qual gesto fino a quando non è entrato nella nostra memoria muscolare in modo da poterlo ripetere ‘senza pensarci’.
Il filo conduttore del Museo Bisagno, come quello di ogni buon giro di golf, è la profonda verità che la memoria non è un magazzino passivo di reperti, ma un laboratorio attivo per il futuro. Quando Aristotele ci ricorda che “Siamo ciò che facciamo ripetutamente,” sta implicitamente sottolineando l’importanza di cosa scegliamo di ripetere. E qui entra in gioco la vera disciplina della memoria, quella che distingue il giocatore che ricorda dal giocatore che impara. Esercitare la memoria non significa semplicemente rivedere uno scorecard; significa isolare la sensazione, l’assetto, il feeling del colpo perfettamente riuscito e rendere quel ricordo vivido e accessibile prima del prossimo tiro.
Questo è il vero valore dell’esperienza golfistica: rendere la memoria una risorsa proattiva.
Ogni volta che rivediamo mentalmente un putt cruciale imbucato o un recupero magistrale dal bunker, stiamo rafforzando la nostra autoefficacia – quella convinzione di poter padroneggiare le situazioni e produrre risultati. Stiamo in sostanza dicendo a noi stessi: “Questo lo sai fare. L’hai già fatto. Ripetilo.”
Se non coltiviamo e analizziamo attivamente il nostro ‘fascio di percezioni’ rischiamo di ripetere gli errori del passato senza mai trasformarli in saggezza futura. Il colpo sbagliato deve diventare un dato di fatto: perché ho aperto la faccia del bastone? Come si sentiva l’impatto? Solo rispondendo a queste domande, non con frustrazione ma con onestà analitica, possiamo calibrare il gesto di domani. In un mondo che ci spinge a vivere in un eterno, fugace presente, il golf – e musei come quello della famiglia Bisagno – ci obbliga a onorare il passato per costruire il colpo che vogliamo eseguire. Esercitare la memoria è l’allenamento più efficace a nostra disposizione per ridurre la distanza tra l’intenzione e l’esecuzione. La vera grandezza non risiede nel cancellare il passato, ma nel portarlo in campo come un caddie fidato, un compagno silenzioso carico di conoscenza.
Il tuo caddie filosofo ti potrebbe suggerire alcuni semplici esercizi e per trasformare i tuoi ricordi di gioco in alleati:
- Il Diario delle 5 cose: dopo ogni giro o sessione di pratica, annota 2 colpi ben eseguiti, 2 colpi da migliorare 1 emozione che hai provato. Funziona perché rafforza la memoria selettiva e collega il gesto all’emozione, migliorando consapevolezza e apprendimento.
- Replay mentale: prima di addormentarti, richiama alla mente tre colpi riusciti della giornata. Rivedili come se stessi guardando un video: preparazione, impatto, volo della palla. Funziona perché la visualizzazione consolida il ricordo motorio e rafforza le sensazioni positive.
- Il colpo riscritto: scegli un colpo sbagliato. Descrivilo in 3 righe. Ora riscrivilo in forma migliorata: come avresti potuto eseguirlo? Funziona perché cambia la ‘narrazione interna’ e trasforma il ricordo negativo in energia costruttiva.
- Routine dei profumi: quando giochi, presta attenzione agli odori attorno a te: erba appena tagliata, pioggia, pini, vento. Funziona perché l’olfatto è il più potente canale della memoria: lega i colpi all’ambiente e rende più facile richiamarli.
- La tua Hall of Fame: crea una raccolta di 10 momenti top della tua stagione: foto del campo; screenshot dello score; locandina del torneo; la palla ‘magica’. Funziona perché rende la memoria visibile e aiuta a costruire una narrazione identitaria positiva.
La memoria non è un album di ricordi, è un ‘muscolo’ che vale la pena allenare. Perché in fondo, la memoria è l’unica macchina del tempo che non si limita a riportarci indietro, ma ci insegna come giocare meglio nel futuro, rendendo l’impossibile di ieri la realtà di oggi.