Ultima buca. Sei in testa. Hai giocato il tuo miglior golf. Il torneo è tuo. Hai costruito lo score colpo dopo colpo, con pazienza, concentrazione e controllo. Tutto ciò che resta tra te e la vittoria è un putt da 40 centimetri. Putti con fiducia. La pallina sembra diretta al centro… ma scivola via, gira intorno al bordo e si ferma fuori dalla buca.

Il pubblico trattiene il fiato. A te si ferma il respiro. Tutto era pronto. Credevi di sapere come sarebbe andata. Ma ora, non sai più niente…

Cosa succede quando ci sentiamo sicuri ma falliamo comunque? Qual è il confine tra certezza e conoscenza?

A comprendere l’incertezza del golf può aiutarci Timothy Williamson, uno dei filosofi più influenti degli ultimi decenni, autore dell’interessante e piacevole libro Io ho ragione e tu hai torto.
Per Williamson, la conoscenza non si riduce a una ‘credenza vera giustificata’ (l’epistemologia – branca della filosofia che studia le condizioni, i metodi e i fondamenti della conoscenza scientifica – tradizionale definisce la conoscenza come credenza giustificata e vera. Cioè, perché qualcuno possa dire di sapere qualcosa, deve prima crederci – credo di avere in mano un ferro 7, deve avere una giustificazione per quella credenza – ho in mano un ferro con scritto 7, la credenza deve essere vera – misurando loft e lunghezza dello shaft verifico che sono quelli tipici del ferro 7).

Per Williamson invece la conoscenza è una condizione primitiva: non è riducibile ad altro, ma è come uno ‘stato mentale fondamentale’ da cui derivano altri. Per Williamson, la conoscenza è come un punto di riferimento mentale solido: non è qualcosa che costruisci mettendo insieme altri pezzi (come credenze, prove e verità), ma è il punto fermo da cui cominci a costruire tutto il resto.

Immagina che la conoscenza sia l’acqua: potremmo tentare di definirla con “trasparenza, fluidità, capacità di spegnere la sete…”, ma in realtà queste sono effetti dell’acqua, non la sua definizione. Williamson direbbe che è più utile partire dall’acqua per capire la sete, il freddo, il ghiaccio, piuttosto che il contrario.

Allo stesso modo, è più utile partire dalla conoscenza per spiegare credenze, decisioni e azioni, non viceversa.

Nel tuo putt da 40 centimetri eri convinto di sapere. Avevi tutte le giustificazioni razionali: distanza minima, pendenza nulla, pieno controllo. Hai provato quel put mille volte. Lo hai dentro, nella memoria muscolare. Hai fatto tutto giusto. Eri certo del tuo colpo. Eppure, sbagli.

Williamson ci direbbe che pensavi di sapere, ma in realtà avevi solo un’alta probabilità. La conoscenza autentica implica qualcosa di più. E il golf, in questo senso, è una disciplina crudele ma rivelatrice: non concede illusioni.

Nel golf come nella vita, possiamo essere preparati, sicuri, convinti. Eppure, fallire. E quel fallimento ci svela che sapere davvero è molto più che ‘avere buoni motivi’.

Questo colpo mancato è come una lezione di epistemologia dal campo: ci ricorda che la sicurezza non equivale alla verità. E che il golf, come la filosofia, è una scuola permanente di umiltà del pensiero. Nulla è certo finché non succede. E nemmeno dopo.

Allenamento, esperienza, intuizione: nulla garantisce l’esito. Eppure, continuiamo a giocare, a cercare, a imparare.

Williamson ci invita ad abbracciare questa forma di umiltà: riconoscere che non sappiamo ciò che crediamo di sapere. Ma questo non è motivo per smettere. Al contrario, è uno stimolo ad affinare, riflettere, essere concentrati.

Un putt mancato da 40 centimetri è un paradosso: è l’azione più semplice e al tempo stesso la più spietata. Racchiude il senso del golf e della filosofia: non c’è certezza, solo ricerca. Non sempre ciò che sembra sicuro lo è davvero. Ma vale sempre la pena provarci.