Terzo giro del BMW Championship, finali di FedEx Cup, agosto 2025.
Robert MacIntyre ha imbucato un putt decisivo da due metri e mezzo per il par alla buca 14, poi si gira verso il pubblico indica uno spettatore e mima il gesto universale del “Fai silenzio”, con il dito indice davanti alla bocca.
Quello spettatore, o qualcuno vicino a lui, poco prima gli aveva ‘tifato contro’, augurandogli di sbagliare. Non è l’unico episodio di giornata: per MacIntyre ci sono stati fischi dalla prima all’ultima buca mentre si scontrava con l’idolo di casa, l’americano Scottie Scheffler.
A tratti, la sfida finale tra Scheffler e MacIntyre di sabato sembrava un’anteprima della Ryder Cup.
Al Caddie Filosofo è sorta una domanda: perché la folla a volte decide di ‘tifare contro’ e quali implicazioni etiche ci sono in questa scelta?
Il golf vive di un patto non scritto: silenzio assoluto durante l’esecuzione del colpo per rispetto del giocatore. Non sono ammesse interferenze intenzionali. Non è galateo snob. È una condizione di equità per permettere a tutti i giocatori di giocare il loro golf migliore senza interferenze esterne. Non a caso i codici di condotta per gli spettatori parlano esplicitamente di rispetto e comportamenti appropriati, con possibilità di allontanamento in caso di violazioni gravi. “Rispettare il gioco” non è slogan: è una norma che tutela la concentrazione come bene comune della competizione.
Sia chiaro, sostenere i giocatori, ‘tifare’ per loro o per il bel gioco anche rumorosamente non è un delitto, anzi: ‘tifare per’ ha un significato profondamente positivo: è un modo di entrare in sintonia con il gioco e con chi lo pratica.
Il sostegno del pubblico non è solo rumore: è energia emotiva condivisa che aiuta l’atleta a reggere la tensione, a trovare coraggio dopo un errore, a sentirsi parte di qualcosa di più grande della singola performance.
Applaudire un bel colpo, incoraggiare un giocatore in difficoltà, creare un silenzio carico di attesa prima di un putt decisivo: sono tutte forme di partecipazione attiva che rendono il golf un’esperienza comunitaria, non solo individuale. In questo senso, il ‘tifare per’ non è solo sostegno a un giocatore, ma è cura per il gioco stesso, perché contribuisce a mantenere quell’atmosfera di tensione che rende il golf unico.
La Ryder Cup è l’esempio più chiaro di come il tifare possa trasformarsi in spettacolo e rituale collettivo senza per forza degenerare nel ‘contro’.
Qui la passione è amplificata: cori, bandiere, canti, un’energia che raramente si vede negli altri tornei. Ma, quando funziona bene, non è odio verso l’avversario: è orgoglio positivo, un modo per sostenere la propria squadra e creare identità. Certo, negli anni non sono mancati eccessi e i capitani stessi hanno richiamato i tifosi a essere ‘”rumorosi ma rispettosi”. Questo dimostra che il tifo può avere due facce: se resta ‘per’ diventa una forza che dà coraggio ai propri giocatori e una cornice indimenticabile per il golf, se diventa ‘contro’ rischia di deformare lo spirito stesso della sfida.
Quando una folla sposta l’energia su interferenze intenzionali – gridare durante l’esecuzione di un colpo, disturbare la routine, esultare per l’errore – smette di tifare e comincia a partecipare al gioco alterandone le condizioni.
Qualcuno obietterà che la passione fa parte dello sport e che altri contesti sono ben più rumorosi. Vero. Nel tennis abbiamo visto più volte il tema esplodere: Iga Świątek ha dovuto chiedere al pubblico del Roland Garros di non urlare durante gli scambi, David Goffin ha criticato la totale mancanza di rispetto da parte dei tifosi di casa che lo hanno insultato per tre ore e mezza nel corso del match vinto contro un giocatore locale. Che cosa è tutto questo? Non è tifo, ma il suo trasformarsi in leva strategica per sabotare l’attenzione altrui. È qui che ‘tifare contro’ supera la soglia dell’antagonismo e diventa strumento deliberatamente utilizzato per alterare il gioco. Segnali di una linea etica di condotta che fatica sempre più ad essere rispettata. Anche nel golf, purtroppo.
All’inizio uno spettatore che va ad assistere ad un evento sportivo ha un atteggiamento neutrale: applaude il bel gioco, da qualunque parte arrivi. A un certo punto però può accadere qualcosa: un gesto atletico particolarmente elegante, una rimonta inaspettata, un carattere che emerge. È il momento in cui scatta l’empatia: ci si riconosce in quel giocatore, nella sua fatica, nella sua determinazione.
Per Aristotele, nello scritto Poetica, eleos (pietà) e phobos (paura) sono le emozioni che la tragedia – nel senso della rappresentazione teatrale – deve suscitare nello spettatore. In tal modo egli si ‘identifica’ con i personaggi vivendone le emozioni e ottenendo una sorta di sollievo emotivo. In piccolo, il golf produce la stessa dinamica: lo spettatore prova emozioni in risonanza con il ‘proprio’ giocatore. Da qui nasce il desiderio di partecipare non solo con lo sguardo, ma con il tifo. Per il filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein dire “Forza Rory!” o “Dai Scottie!” non è una descrizione – come dire “Con il suo approccio Rory ha messo la palla a dieci centimetri dalla buca” – che può essere vera o falsa, ma un ‘atto linguistico’, un’azione che si compie per mezzo del linguaggio: è un modo di inserirsi nel gioco, di contribuire emotivamente. Divento parte della partita non solo come osservatore ma come partecipante.
Cosa trasforma un tifoso ‘per’ in uno ‘contro’?
Filosoficamente, lo spettatore non è mai del tutto soddisfatto della sua posizione di ‘supporter’. C’è un desiderio umano di agency (facoltà di agire, di esercitare un potere sulle cose e di intervenire attivamente nel mondo), di contare qualcosa. Filosofi come Sartre o Arendt lo hanno ben evidenziato. Quando si rende conto che il suo tifare per il proprio giocatore non comporta risultati immeritamente visibili ma che, al contrario, le sue interferenze intenzionali portano all’errore il giocatore ‘nemico’, ecco che ha trovato il modo di trasformare il proprio ruolo: da osservatore a ‘variabile di gioco’. È una forma distorta del concetto di volontà di potenza di Nietzsche.
Tifare contro, interferire, non è un semplice ‘rumore di fondo’: è un atto che incide sulle condizioni di giustizia della gara.
Altera il patto implicito tra giocatori e spettatori: il golf, come altri sport, si fonda sul rispetto e il diritto alla concentrazione. Cambia l’esito reale di un colpo: il disturbo non è simbolico, ma può avere effetti concreti sul risultato.Trasforma la passione in abuso: non si celebra più il gioco, si sfrutta la propria presenza per manipolarlo. Per questo l’interferenza non può essere banalizzata come folklore: è eticamente rilevante perché tocca i principi di equità, rispetto e verità sportiva.
L’interferenza è rilevante perché tradisce la giustizia del gioco
Il golf ha sempre richiesto virtù a giocatori e caddie (temperanza, giustizia, rispetto). Oggi serve parlare anche delle virtù dello spettatore. Non è moralismo: senza queste virtù, il risultato non riflette più la sfida tecnica e mentale tra atleti, ma la capacità della folla di interferire. In vista della Ryder Cup tutto questo diventa sempre più rilevante. C’è spazio per cori, bandiere, gioia, pathos; ma non c’è spazio per l’azione intenzionale di sabotaggio dell’intenzione altrui. Il golf in fondo chiede una cosa semplice: tifa forte, ma tifa bene. Esulta per il colpo riuscito, non per l’errore provocato. La differenza sembra piccola, è, invece, la differenza tra passione e abuso, tra festa e farsa, tra sport e spettacolarizzazione che divora lo sport.
