Alla scoperta di Vancouver Island, la più grande della costa occidentale del Nord America, al largo delle coste canadesi della British Columbia. Separata dal continente dallo stretto di Georgia, si estende per 450 chilometri da nord a sud. Qui la natura prevale sull’uomo ma l’uomo ne è parte integrante. Tutto ruota intorno agli sport legati all’ambiente, e il golf è protagonista con magnifici percorsi dove non è insolito trovare degli orsi a poca distanza dal gioco.
Sulla targa delle auto c’è il motto “Beautiful British Columbia”.
È proprio così. Ricorderete l’articolo dello scorso anno dove ho parlato del Quebec, territorio dell’est canadese, e del suo ‘feuillage’, lo straordinario fenomeno autunnale delle foglie di acero che assumono incredibili tonalità gialle e rosse che si perdono negli infiniti territori. Ancor più mi avevano colpito il vivere rilassato, l’educazione, il rispetto della gente e la serenità di una società che sembra avere superato senza traumi le grandi problematiche sociali che colpiscono il resto del mondo occidentale.
Quest’anno, anche per vedere se avrei provato le stesse sensazioni sono tornato in Canada, ma dall’altra parte, nel British Columbia, sull’Oceano Pacifico, atterrando a Vancouver, città moderna, assai ricca e cara. Conta circa 650mila abitanti nel Downtown e raggiunge i due milioni considerando l’area metropolitana.
È una delle città più vivibili del mondo, pur essendo un crogiolo di razze e lingue incredibile: solo la metà della popolazione parla inglese o un idioma ad esso vicino.
Ma l’impostazione della società è strutturalmente anglosassone o, meglio, americana, dove tutto è facile, logico e funzionale, a partire dai trasporti pubblici cittadini: perfetti, puntuali, facili da usare e poco costosi. È anche considerata una città storica, se una città che nasce nel 1886 può essere considerata tale. Fu la necessità di un porto per spedire il legname tagliato nelle foreste che fece nascere tutto. Fino ad allora era più importante Victoria, ancora oggi capitale dello stato, dove si rilasciavano i permessi per la ricerca dell’oro nel mitico Klondike. Oggi Vancouver è il principale porto canadese, punto di snodo del traffico navale tra Pacifico e Atlantico. La sua storia si legge in poche centinaia di metri: la Water Street, nella zona di Gastown, dove si affacciano le poche case veramente originali della città e dove potrete ammirare la Gastown Steam Clock, un orologio che funziona a vapore sfruttando gli sfoghi dell’impianto pubblico di riscaldamento, e che riproduce ogni quarto d’ora i rintocchi del Big Ben londinese. Ne riproduce vagamente anche le fattezze estetiche, sia pur in dimensioni ridotte: c’è sempre una piccola folla con i cellulari in mano in attesa degli sbuffi e del suo carillon musicale. È un impianto che risale solo al 1977, ma viene vissuto come parte della storia della città.
Ma il soggetto di questo articolo è la Vancouver Island.
Mentre per visitare Vancouver l’auto è inutile, per andare sulla grande isola a nord, essa diventa indispensabile. Raggiungere i vari porti di imbarco è una operazione facile, visto il traffico ordinato che vi accompagnerà dal ritiro dell’auto in città fino al traghetto. Da lì, in poco più di un’ora approdiamo a Nanaimo, sulla costa orientale e poi con una comoda superstrada raggiungiamo Campbell River, una cittadina di 30mila abitanti che vive di turismo naturalistico e quindi punto di partenza di incredibili escursioni: balene e orche, aquile di mare testa bianca, foreste incontaminate o anche pesca di salmoni. Noi siamo andati a vedere gli orsi e abbiamo scelto l’opzione con la barca che risale per quasi due ore il fiordo di Bute Inlet, ma potete arrivarci più comodamente con l’idrovolante sostando un paio di notti in un resort galleggiante. Ci hanno accompagnati fino ad un fiume tumultuoso dove i salmoni risalgono per depositare le uova. Da una pedana rialzata e protetta si vedono gli orsi grizzly in mezzo all’acqua che acchiappano al volo salmoni che cercano di saltare le cateratte.
Animali meravigliosi, gli orsi, che ci offrono un involontario spettacolo, terribile e affascinante: è solo la natura che fa il suo corso.
Per il resto a Campbell River le attrazioni si limitano alla Distilleria Shelter Point e all’Elk Falls Provincial Park, dove per raggiungerlo dovrete passare su un ponte tibetano molto scenico (Elk Falls Suspension Bridge). Quello dei ponti sospesi sembra essere una offerta piuttosto diffusa nel British Columbia: oltre a quella dell’Elk Falls, abbiamo camminato sul Capilano Suspension Bridge a Vancouver, una vera e propria attrazione in stile quasi disneyano, e sul Cloudraker Skybridge a Whistler, in cima agli impianti di risalita della cittadina sede delle Olimpiadi invernali del 2010: un modo, quello dei ponti tibetani, per provocare emozioni senza rischi e ricordi indelebili.
E il golf? Nella piccola cittadina di Campbell River ci sono due percorsi a 18 buche.
Uno piuttosto famoso, lo Storey Creek Golf Club, situato qualche chilometro a sud, in mezzo alla foresta, molto bello ma con l’inconveniente degli orari concessi ai visitatori che cominciano intorno a mezzogiorno.
Noi abbiamo visitato l’altro, il Campbell River Golf Club, situato proprio in centro città, dietro al porticciolo, circondato da case, scuole ed attività commerciali. Una vera sorpresa! 18 buche, par 71, con uno slope 122, quindi non troppo difficile: un campo che loro definiscono ‘pubblico’ (noi preferiamo ‘aperto al pubblico’), con una serie di recenti strutture al top di gamma collegate, architettonicamente molto moderne ed omogenee, la lounge ‘Velocity’ con un menu più che adatto e configurata come i ‘Topgolf’ americani (cioè con i singoli tavoli collegati ognuno ad una postazione di driving range, per cui potete dare un morso all’hamburger tra un tiro e l’altro), la ’Academy’ con il meglio della tecnologia didattica (e area di tiro in comune con la lounge), un hotel, il ‘Natural Pacific Resort’, che permette di definire il campo un ‘golf resort’. Inoltre il proshop-segreteria, denominato ‘Elements’ dove incontriamo il professionista Jordan Irwin che ci spiega la filosofia del campo.
Per scelta della proprietà i soci sono solo 55. Per il resto il principio è il ‘pay to play’.
Il campo nacque nei primi anni ’50 con cinque buche, poi nel tempo diventate 18 assumendo il nome di Sequoia Spring Golf Course. Fu comperata poi dalla famiglia Mailman, affermati costruttori dell’isola di Vancouver, che nel 2017 diedero il via ad un completo rifacimento affidato a Graham Cook.
Il lavoro, durato 14 mesi, ha visto nascere un campo assolutamente perfetto per il giocatore medio, con rough, fairway e green immacolati, con strutture collaterali (ponti, passaggi, stradine per il cart, cartellonistica) manutenuti in maniera maniacale. Le toilette sul percorso sono definite ‘comfort station’ perché sono anche postazioni con poltroncine e tavolini dove sedersi e riposare. I bunker sono numerosi ma piuttosto piatti e facili, mentre gli ostacoli d’acqua entrano in gioco poche volte. La ‘scenic hole’ è la buca 5, un doppio dogleg in discesa: lo è per la bellezza del fairway (ma questo è comune su tutto il campo) e per i giardini delle ville circostanti: delle vere e proprie opere d’arte che ti affascinano e distraggono. Alla buca 8 troverete un cartello che invita a telefonare alla lounge per prenotare il vostro snack al passaggio della 9.
Il messaggio è chiaro ovunque: qui si gioca rilassati.
Jordan Irwin mi dice che su questo percorso giocano tutto l’anno perché il clima è sempre temperato; alcuni giocatori sul campo mi hanno invece parlato di nove-dieci mesi di attività perché negli altri si gioca, sì, ma bisogna avere ’a strong heart and a strong love for golf’ (un forte cuore ed un forte amore per il golf): tendo a credere più ai giocatori.
La parte est dell’isola è quella più antropizzata: infatti la strada che la attraversa da sud a nord, fino a Port Hardy, da dove partono le navi da crociera per l’Alaska, corre sulla costa orientale (Campbell River è a metà strada). La costa occidentale, quella sull’Oceano Pacifico, è molto più selvaggia, naturale e più complessa da raggiungere. Le varie strade infatti partono tutte dalla Highway 19 sulla costa est (o 19A se percorrete la più affascinante strada normale) e sono tutte realizzate perpendicolarmente ad esse, un po’ come i rebbi di un pettine.
Non esiste una strada che vi permetta di percorrere la costa ovest in tutta la sua lunghezza, per cui il viaggio da Campbell River al piccolo paese di Tofino è un tuffo nelle molte realtà dell’isola.
Prima percorrete la 19A per andare a sud e raggiungere Qualicum Beach, passando in mezzo a numerose fattorie ed allevamenti, a paesini e semplici resort in posizioni incredibili; da lì girate verso ovest e percorrete la 4, una strada circondata da una impressionante foresta. Sui bordi della carreggiata avrete enormi pini, abeti e cedri: per decine di chilometri vedrete solo alberi altissimi a destra e a sinistra e una sottile striscia di cielo sopra di voi. Di tanto in tanto passerete a fianco di laghi stretti ma lunghi decine di chilometri incontaminati e disabitati. Strada facendo l’unico segno di civiltà è la cittadina di Port Alberni: c’è anche un McDonald, il che ve la dice lunga.
Dopo quasi due ore di percorrenza sulla 4, peraltro una strada molto ben tenuta e facile da percorrere ma quasi tutta priva di segnale telefonico e internet, giungerete in vista dell’Oceano Pacifico: lì girate verso nord.
State entrando in una realtà sorprendente, dove la natura prevale sull’uomo, ma dove l’uomo è parte della natura stessa.
Per tutta la lunghezza della penisola della Pacific Rim, viaggerete nella Foresta Pluviale, con piante millenarie altissime e un sottobosco impenetrabile. A bordo strada c’è una frequentatissima pista ciclabile che di tanto in tanto si infila nella foresta, regalando viste e sensazioni ineguagliabili. Ci sono anche facili percorsi pedonali lunghi un paio di chilometri ciascuno, da fare rigorosamente sulle pedane in legno: appena fuori della strada il silenzio e il senso di pace sono inimmaginabili per chi vive dalle nostre parti. Sulla sinistra vedrete delle spiagge: la più famosa è quella denominata Long Beach, vero regno per surfisti.
Arrivati a Tofino scoprirete un paese piccolissimo, meno di duemila abitanti, ma turisticamente vivacissimo. Tutto ruota intorno agli sport legati alla natura, ma con una visione molto pragmatica dell’ambiente: per fare trekking, ad esempio, sull’isola di Meares dove ci sono enormi sequoie millenarie, si usa l’idrovolante o la barca. Ovviamente c’è anche un golf: solo nove buche e considerato un complemento del campeggio adiacente, con un piccolo percorso di minigolf e una lounge con addirittura due simulatori di gioco, ma con una caratteristica che la rende conosciuta in tutto il mondo: non è insolito trovare orsi che si cibano di bacche ai bordi di alcune buche. La cosa è talmente abituale che mentre gli orsi mangiano, i giocatori continuano a giocare, anche se nelle regole locali si legge una ‘bear rule’ (regola dell’orso) che concede il free drop nel caso l’animale sia in zona. I compagni di gioco mi hanno detto che l’orso era passato un paio di giorni prima sulle buche 2 e 3: peccato non averlo visto.
Come detto il Long Beach Golf Course è un nove buche in/out, che gira appena fuori del perimetro del piccolo e poco frequentato aeroporto civile.
I fairway, privi di irrigazione artificiale, sono tenuti piuttosto bene, anche se soffrono le bizze della meteo. In compenso i green sono spettacolari, perfetti ed inattesi, visto il contesto del campo. È un par 72, anche piuttosto lungo, ma queste sono cose che contano poco perché è straordinario il contesto del campo.
Le piante intorno alle buche 2 e 8, proprio davanti alla testata pista, sono tagliate ad una altezza di quattro metri perché sono proprio sulla linea di decollo e atterraggio degli aerei. Io ne ho visto decollare uno: era proprio basso ed istintivamente mi sono chinato. Un gesto inutile ma rende l’idea.
All’ingresso della semplice club house c’è un cartello un po’ provocatorio e scritto a mano che dice di portarsi parecchie palline perché è il campo dove se ne perdono di più in tutto il British Columbia.
E anche quando noleggiate il set di bastoni, vi daranno una dotazione di tre palle, con il consiglio di acquistarne una ulteriore dozzina: la foresta che costeggia le buche è fittissima e impenetrabile, come tutto il Pacific Rim d’altronde. Se una palla va lì dentro, ed è facile che capiti, evitate di cercarla: non riuscireste neanche ad entrarci. Anche i passaggi tra le buche sono praticamente obbligatori, essendo impossibile tagliare il percorso. Un campo curioso che vale la visita, e non solo per gli orsi.
La visita della Vancouver Island non può che finire a Victoria, capitale del British Columbia.
Per raggiungerla da Tofino dovrete fare il percorso all’indietro fino a raggiungere nuovamente la Highway 19 e dirigervi poi a sud. Ci vorranno circa cinque ore, ma sarà un viaggio che vi permetterà di rientrare nella civiltà senza traumi perché anche qui, ancor più che a Vancouver, la vita è rilassata e facile. Nella via centrale pedonalizzata, troverete molti negozi, ma pochi degli ormai onnipresenti marchi di moda, e diversi pub ancora arredati come il secolo scorso, con sgabelli al banco e sedute in pelle. In tanti posti troverete anche band che suonano dal vivo, il che, in un mondo musicale popolato di DJ set, è molto piacevole. A Victoria vi raccomando di non perdere i Butchart Gardens, un giardino botanico meraviglioso di oltre 55 acri creato dalla famiglia Butchart nel 1904, e ancora oggi di loro proprietà.
Si trova una trentina di chilometri a nord della capitale, è facilmente raggiungibile in auto ed è organizzato perfettamente: parcheggi controllati, coffee shop, una tea room elegante all’interno della villa padronale, l’immancabile gift shop e cinquanta giardinieri continuamente all’opera che regalano ai visitatori un lunghissimo ma incredibile percorso fatto di fiori, piante e ambientazioni naturali. A questo punto avrete capito che “Beautiful British Columbia” sulle targhe delle auto locali non è solo un motto: è un mondo dove si vive bene.
Vancouver Island: l’isola del buon vivere