Non c’è U.S. Open che si rispetti senza un percorso che non lasci scampo al minimo errore e che, a volte, penalizzi fin all’eccesso colpi al limite della perfezione. E così, per tre giorni Oakmont ha mantenuto fede alla parola data: far impazzire i giocatori. Qui il par è tornato a contare.

In questo girone dell’Inferno dantesco sono solo quattro i giocatori sotto par che, in qualche modo, sono riusciti a parare i pugni assestati dal percorso della Pennsylvania.
Primo tra tutti, Sam Burns che ha chiuso non senza difficoltà le sue 18 buche per un totale di -4. Tanti, salvataggi con il putt in mano, tanti up&down che gli hanno permesso di non perdere colpi rimanendo ben ancorato alla testa della classifica. E non è un caso che secondo le statistiche del PGA Tour sia il miglior puttatore di questa stagione.

Ma la vera sorpresa di questa 125esima edizione è Adam Scott. E non perché sia considerato un outsider, la sua carriera parla da sola. Ma perché a 44 anni, quasi 45, l’australiano è lì, tra i grandi nomi del golf a caccia del suo secondo major, dopo il Masters del 2013. Domani potrebbe scrivere una storia fantastica di sport. Con -3 Scott partirà all’attacco del quarto giro nel team leader. Stesso score anche per J.J. Spaun, un giocatore di qualità e di precisione che va perfettamente a compensare la corta distanza rispetto ai suoi colleghi bombardieri. Peccato solo per il bogey alla 18 che l’ha estromesso dalla testa della classifica.
Quarto posto a -2 per Viktor Hovland, che con palla provvisoria già alla 1, ha saputo reagire a due bogey nelle prime tre buche con pazienza e costanza. I suoi ferri al green, suo cavallo di battaglia, oggi sono stati un alleato prezioso.
In par Carlos Ortiz. Dalla sesta posizione partono i risultati sopra par ma possiamo dire senza problemi che, dato l’assurdità della setup di Oakmont, gli score fino al +2, addirittura +3, sono in lizza per la vittoria finale.

Non sarà uno U.S. Open da ricordare per Rory McIlroy

Sabato pomeriggio, mentre i leader del torneo stavano ancora scaldando i ferri del mestiere in campo pratica, McIlroy aveva già archiviato la terza giornata di gara con un 74 che racconta bene le difficoltà di una settimana mai veramente decollata. A +10, il nordirlandese è fuori da ogni velleità di vittoria. Da Augusta in poi, McIlroy sembra in parabola discendente. Dopo il trionfo al Masters, ha ammesso di aver perso un po’ di quella “fame” necessaria per rimanere competitivo, forse ancora immerso nella realizzazione di un sogno di una vita. Ma nel frattempo si è fatto scappare due major mostrandosi visibilmente frustrato in campo. Al secondo giro dell’U.S. Open, ha scaraventato un bastone e colpito un tee marker in un momento di stizza. La settimana scorsa non ha passato il taglio al RBC Canadian Open e ha vissuto uno dei suoi peggiori PGA Championship a Quail Hollow, un tracciato dove solitamente domina. Molti pensavano che, dopo aver conquistato il tasto agognato Grande Slam, Rory si sarebbe liberato mentalmente, pronto a tornare a dominare. Ma l’effetto è stato l’opposto.

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