Nel suo 243° torneo sul PGA TOUR, Schenk è finalmente riuscito a firmare il colpo più importante della carriera: la vittoria al Butterfield Bermuda Championship, con un par finale di 71 colpi in una giornata resa difficilissima dal vento.
Per l’americano un totale di -12, un colpo di differenza sul secondo Chandler Phillips (-11).
Adam Schenk era arrivato alle Bermuda con un solo maglione. Tanto è un paradiso tropicale, avrà pensato. Chi avrebbe mai immaginato di dover fare i conti con strati e strati di abbigliamento?
E invece no.
Il vento oceanico, teso e pungente, ha imposto un dress code più da links scozzese che da isola esotica. Così Schenk si è ritrovato a dover sfoderare, più volte, quell’unico e ormai malconcio maglione. “Sono un po’ imbarazzato… queste macchie sono comparse venerdì» ha ammesso sorridendo. “Non me lo sono più tolto. Per due giri credo di aver giocato il 90% delle buche con questa giacca. Probabilmente non profuma di buono”.
Ma nel golf, come nella vita, qualunque cosa funzioni, funziona.
E quel maglione, ora, profuma di vittoria.
“Incredibile. Sognavo che questo giorno arrivasse, ma non sai mai se accadrà davvero. È questo che rende il viaggio così speciale, così sorprendente. Quando succede davvero è un momento surreale”
La sua è stata una prova di resilienza, più che di fuochi d’artificio. Le partenze erano state anticipate di un’ora a causa delle condizioni proibitive, ma il Port Royal Golf Course non ha fatto sconti. Una sola birdie nelle prime 14 buche, un bogey alla 15 e poi tre par consecutivi: tanto è bastato.
Dalle difficoltà a un balzo gigantesco
Non era certo la stagione che Schenk aveva immaginato: 11 tagli superati in 27 tornei. Un rendimento da dimenticare, tanto da precipitare al n.134 della FedExCup Fall. Ma questa settimana ha cambiato tutto: adesso è n.67 e, soprattutto, ha la sicurezza di giocare per i successivi due anni sul PGA Tour.
L’immagine simbolo della sua settimana? Schenk che putta con una sola mano.
Soggiornava in un hotel vicino al percorso e lì, tra una partita di college football e l’altra, ha passato le serate a fare pratica sul tappeto: pendenza leggera a destra verso la finestra, a sinistra verso la porta. Un laboratorio improvvisato ma efficace.
Sapeva che la domenica ventosa avrebbe richiesto due mani sui putt corti, ma ha comunque lasciato la sinistra “appoggiata” sul grip, come fosse un copione secondario. E quando sul 72° green si è trovato un putt corto per la vittoria, ha seguito il suo mantra:
La vittoria gli evita di dover andare alla Q-School del PGA Tour, una settimana che avrebbe significato stare lontano ancora una volta dai suoi due figli e dal cane, Bunker.
“Vincere è fantastico, certo. Ma non dover andare alla Q-School è enorme. Ho due anni di esenzione, e spero che questo sia il trampolino per rilanciarmi davvero. Sono ancora bravo a golf, lo amo ancora”.
Non sarà un grande bevitore – difficile esserlo con due bambini svegli all’alba ogni giorno – ma ha già in programma un festeggiamento sobrio ma sentito, insieme a qualche amico del circuito, nel viaggio di ritorno verso Sea Island. Ripartirà dalle Bermuda con un solo maglione, lo stesso che puzzava di salsedine, fatica e determinazione.
Ma porterà via anche un trofeo, finalmente suo.
Gli italiani
Un altro torneo sottotono per i due italiani in campo oprami certi di non con quietare la carte per il circuito americano della prossima stagione. Francesco Molinari ha mollato nel finale chiudendo il quarto giro in 74 colpi e perdendo 10 posizioni. Pe rio torinese un 34° posto in -1 (72-68-69-74). In bassa classifica Matteo Manassero, 61° con +6 (72-70-74-74).