L’Open Championship, a differenza degli altri tre major, gioca un’altra partita.
Sui links la tecnica da sola non serve a nulla ma sono invece necessari improvvisazione e fantasia.
Lo U.S. Open alle spalle
Lasciamoci lo U.S. Open alle spalle, un torneo che mi sta sempre meno appassionando.
Sarà anche il major più democratico dei quattro ma vedere giocatori in seria difficoltà lottare per il bogey o addirittura il doppio, non mi entusiasma per nulla, sia da vedere che da commentare.
Onore a J.J. Spaun, un outsider di lusso, ottimo giocatore con una bella attitudine in campo.
Certo, se non avessero fermato il gioco per pioggia domenica, probabilmente non avrebbe mai vinto.
Ma anche questo è il golf, e l’americano ha saputo giocare a suo favore lo stop per maltempo, ricaricare le energie e firmare delle seconde nove da manuale.
Peccato per Adam Scott, la sua vittoria sarebbe stata una bella storia di sport da raccontare perché sul PGA Tour gli over 40 faticano a vincere ormai da anni.
L’australiano ha una tecnica impeccabile però fatica a tenere quattro giri, confrontandosi con i ventenni.
Basti pensare che Rory McIlroy, classe 1989, ormai è uno dei più anziani sul Tour.
Chi è mancato è stato Scottie Scheffler, praticamente mai pervenuto sui green.
Va bene puttare male ma quello che abbiamo visto a Oakmont è stato abbastanza indegno, non ne ha imbucato uno e a questi livelli errori del genere si pagano a a caro prezzo.
Il numero uno del mondo ha però dichiarato una cosa molto intelligente andando contro quello che era l’obiettivo della USGA: “In questo campo non serve nessuna strategia, ma solo ed esclusivamente saper tirare dritto. Se non si prende il fairway si deve rimettere la palla in gioco. Tutto qui”.
Ora è tempo di Open Championship
Ora, finalmente, è arrivato il momento dell’Open Championship e il Royal Portrush è il teatro di gara ideale per lo spettacolo.
I biglietti sono sold out da mesi e il pubblico è sempre molto competente e rispettoso nei confronti di tutti, indipendentemente dalla nazionalità.
Soprattutto per gli scozzesi e gli irlandesi, il solo fatto di giocare l’Open Championship fa di questi campioni degli eroi ai loro occhi.
Su questo links il fattore vento sarà l’ago della bilancia.
Se a Portrush saremo in presenza di forti raffiche, sono quasi certo vincerà un europeo, in caso contrario, credo che gli americani abbiano buone chance.
Ormai non è più come succedeva diversi anni fa quando i giocatori d’oltreoceano non conoscevano questi tipi di percorsi, abituati solo ai parkland.
Ecco perché il vento sarà fondamentale, ogni giorno sembrerà di giocare su un altro campo e si dovrà avere un approccio al gioco completamente diverso.
La tecnica da sola non basterà a sollevare la Claret Jug.
Ci vorranno strategia e molta fantasia, cosa che fuoriclasse come Bryson DeChambeau non hanno proprio.
I favoriti sono sempre gli stessi: per come tira la palla e per il suo controllo, al primo posto metto sempre Scheffler, ma non deve puttare come il sottoscritto altrimenti non andrà da nessuna parte.
Open Championship: speranze europee
Ci si aspetta tanto dagli europei.
McIlroy, Shane Lowry, i padroni di casa, su tutti. Ma vedo bene anche Viktor Hovland e Robert MacIntyre.
Il giovane scozzese ha fatto un salto di qualità enorme dalla vittoria all’Open d’Italia nel 2022 e post Ryder Cup al Marco Simone.
Ha ottime mani e una gran sensibilità intorno al green, caratteristiche essenziali per sopravvivere in Irlanda del Nord.
I tre moschettieri azzurri all’Open Championship
E non dimentichiamoci dei nostri tre italiani presenti in campo: Francesco Molinari, Matteo Manassero e Guido Migliozzi.
Dei tre Matteo è quello più in forma e che, in assoluto, si comporta meglio su questi tipi di tracciato.
E chissà che, proprio a Portrush, non ci faccia lo scherzetto…