Se qualcuno non riescie ad apprezzare Scottie Scheffler per cio che è, forse il problema è suo. Un atleta dominante che evita controversie e riflettori potrebbe non corrispondere allo standard moderno, ma la vittoria di Scottie a Royal Portrush è stata a suo modo avvincente.
Partiamo da una dichiarazione di Jordan Spieth che, con la sua solita lucidità, ha offerto un’analisi essenziale sul neo Champion Golfer of the Year:
“A Scottie non gli importa essere una superstar. Non sta rivoluzionando il gioco come fece Tiger Woods. Non lo sta portando a un pubblico non appassionato di golf necessariamente. Non vuole fare quello che tanti di noi fanno, dal punto di vista commerciale o altro. Sta sempre con la famiglia, fanno sempre qualcosa insieme. Credo sia una questione di personalità, diversa da qualsiasi altro fuoriclasse moderno, e forse da qualsiasi atleta in generale. Non credo ci sia nessuno come lui.”
Difesa o accusa? Nessuna delle due: è solo la conferma che Scottie Scheffler non intende adattarsi alle regole del mondo sportivo moderno. Questo atteggiamento, per alcuni, è la prova che sia noioso, ma forse è proprio ciò che lo rende oggi l’atleta più interessante del panorama sportivo mondiale. E ve lo dice uno che ha visto da vicino centinaia di golfisti davvero noiosi. Scottie Scheffler, nei vincitore dell’Open Championship, non è noioso né stupido né tantomeno banale.
Torniamo a Spieth, poco dopo, nella stessa intervista post-quarto giro al Royal Portrush:
“Lo vedo ogni tanto fuori dal campo, ma quando giochiamo insieme a casa, è uno che ti prende in giro spesso, è molto arguto. Non puoi attaccarlo, perché è sveglio e ha una buona dose di ironia e batture pronte”.
Non interpreta un personaggio, è semplicemente se stesso
Perché allora non lo percepiamo come uno spiritoso provocatore? Perché non lo fa davanti alle telecamere. Non interpreta un personaggio per noi: né nelle interviste, né sul campo, né seduto accanto a uno YouTuber famoso in un golf cart. Con poche eccezioni, mantiene la sua vita privata. In parole povere, non recita.
Nel 2025 forse non esiste peccato maggiore per un atleta d’élite. Come ha fatto notare Spieth, la valuta fuori dal campo oggi è fatta di sponsorizzazioni, visibilità sui social e qualche dramma personale da esibire. Devi comportarti come Bryson DeChambeau o diventare un portavoce che cambia opinione ogni tre mesi come Rory McIlroy.
Ma Scheffler non ci sta. Parla di Gesù, ma non troppo. Gioca con il figlio, ma le foto sono rare e da lontano. Sua moglie si vede sul green della 18, ma ha il profilo Instagram privato. È comparso in Full Swing su Netflix, ma il suo ritratto è stato superficiale, per via dell’accesso limitato. È finito anche in prigione, ma non ha cavalcato il trauma. È quasi incredibile pensare che qualcuno così famoso e sotto i riflettori riesca a rimanere così centrato.
Un piccolo miracolo di equilibrio umano
Puoi chiamarlo noioso, ma io lo chiamerei un piccolo miracolo di equilibrio umano in un mondo fatto di iper-esposizione e ricerca disperata di attenzioni. Sappiamo poco dei suoi genitori, com’è giusto, ma sorge spontaneo fare loro i complimenti.
Ero curioso di sapere come avesse imparato a proteggere quella parte di sé, così gli ho chiesto qualcosa in conferenza stampa, dopo la vittoria netta del suo quarto major (il quarto vinto con almeno 4 colpi di vantaggio). Mi ha raccontato una storia particolare: riguarda due ristoranti Chipotle vicino casa sua. In uno, vicino al campus SMU di Dallas, è impossibile passare inosservato. Nell’altro, di cui non ha voluto dire l’indirizzo, nessuno lo ha mai riconosciuto. Indovinate dove va?
Da un lato, è solo la storia di una cena tranquilla. Dall’altro, è una lezione su come la fama sia effimera e soggettiva. Non ha mai spiegato davvero come abbia acquisito questa prospettiva, ma sembra naturale. E forse è questo il suo dono più grande, persino più del talento.
E per noi spettatori? Che ci resta dopo una domenica in cui ha ignorato le urla per Rory e ha marciato inesorabile verso la vittoria?
Molto, se si sa dove guardare. Si dice che il suo golf sia monotono: fairway e green. Ma quante volte ha salvato il par da situazioni impossibili, con putt lunghissimi? Quante volte è ripartito dopo un errore, come il doppio bogey della 8, recuperato subito alla buca successiva? C’è resilienza, inventiva, tecnica naturale, ma anche lavoro incessante. È un golf scoraggiante, sì, ma solo per i suoi avversari.
Fisicamente Scheffler ha una solidità che forse gioca contro di lui. Tiger Woods e Rory McIlroy hanno un’agilità elettrica, anche nel modo in cui si muovono. Scheffler invece sembra un atleta americano “classico”: alto, massiccio, spalle larghe, mascella pronunciata. Dove gli altri sono fuoco, lui è roccia. Dove gli altri sono impulsi, lui è destino.
La sua ossessiva competitività
Eppure lo vediamo. È lì per noi, se vogliamo guardare. Dietro le sue partite “da robot” ci sono racconti sulla sua competitività quasi ossessiva (anche a basket, con gente molto più grande di lui!). Dietro le risposte rapide in conferenza, discorsi filosofici sulla vacuità della vittoria. A volte è brusco con i media, ma poi ammette che piange. Dietro lo sguardo imperturbabile si nasconde la paura della fama e del desiderio stesso di vincere.
Dalle sue parole traspare un’enorme passione
C’è passione, e la passione si sente. In un momento della conferenza stampa finale a Portrush ha detto parole degne di un film:
“Da piccolo indossavo i pantaloni lunghi per andare al campo da golf, perché volevo fare come i professionisti. Vedevo in TV Justin Leonard, Harrison Frazar, gente così, e volevo essere come loro. Anche se faceva 40 gradi, anche se mi prendevano in giro. Volevo diventare un golfista, e questo facevo. Non so perché sono così fortunato da vivere il mio sogno”.
Non ha mai cercato di essere altro che se stesso. E questa è la sua più grande forza. Lo definiremmo “noioso” solo perché ci aspettiamo che i nostri eroi si perdano nella fama, la rifiutino, e poi la inseguano di nuovo. Vederne uno indifferente è disorientante. E forse anche fastidioso.
Ma forse dovremmo ammirarlo, anche da lontano. Se qualcuno ti offrisse centinaia di milioni per restare fedele a te stesso, chi vorresti essere se non Scottie Scheffler? Non deve ispirare i bambini o i golfisti del futuro. Lascia che ispiri te.
Disprezziamo l’artista che si piega al pubblico, e allora se c’è una “Sindrome da Scheffler” è un rifiuto dell’idea che un atleta possa davvero essere indipendente. Ma Scheffler non si nasconde: è semplicemente se stesso. Dovremmo lodarlo per essere l’antitesi di un sistema tossico.
Si parlerà del suo “dovere verso il golf”, e se vincere sia abbastanza. Persino Spieth sembrava critico. Che ne sarà del golf se Scheffler continuerà a dominare ma eviterà le luci della ribalta? Quale sarà il suo lascito, se la privacy è il suo stile di vita?
Probabilmente andrà tutto bene. Anzi, sarà grandioso. E la cosa migliore è che a lui non importerà.
“Quando Scottie smetterà di giocare non lo rivedrete più ai tornei sotto altre spoglie o ruoli” ha detto Jordan Spieth. “Ne sono certo”.
Questa è autostima senza egocentrismo. E un campione che conosce sé stesso meglio di chiunque altro.
di Shane Ryan, fonte Golf Digest