Keegan Bradley da grande escluso al Marco Simone a capitano a Bethpage. Con lui i tifosi americani hanno trovato qualcuno che tiene alla sfida tanto quanto loro. E che farà di tutto per vincere
La risposta al perché Keegan Bradley sia stato nominato capitano USA di Ryder Cup 2025 è sepolta in una valigia rimasta chiusa per oltre un decennio. Nel 2012 Bradley fece un voto: non avrebbe mai disfatto il bagaglio della Ryder persa a Medinah finché non avesse fatto parte ancora una volta di un team vincente.
Questa storia è riemersa nel 2023, quando sperava fortemente di partecipare per la terza volta, la prima dal 2014, ma fu escluso dalle wild card di capitan Zach Johnson.
Si ha la percezione che, come gruppo, i giocatori statunitensi in Ryder non provino lo stesso ‘bruciante dolore’ dei loro colleghi europei.
Vincere la coppa d’oro è meraviglioso, ma perdere per gli yankee significa semplicemente scrollare le spalle e pensare al prossimo torneo. Keegan Bradley è sempre stato l’eccezione, ed ecco perché lui è esattamente ciò di cui il Team USA aveva bisogno in questa edizione come capitano. Il suo amore per questa sfida si contrappone nettamente ai malumori legati al denaro emersi nel team americano nel 2023 al Marco Simone, sullo sfondo della ‘guerra civile’ del golf tra i tour tradizionali e la LIV Golf. La Ryder rimane forse l’unico momento in cui il golf riesce davvero a suscitare un senso di comunità. Con Bradley i tifosi americani hanno trovato qualcuno che tiene alla Ryder tanto quanto loro.
Il tuo coinvolgimento emotivo per la Ryder è sempre stato visibile ed è parte di ciò che ti rende così amato dai fan. Ma cosa significa portarsi dietro il peso di oltre un decennio lontano dalla squadra?
È stato difficile. Nel 2012 e 2014 ho fatto parte del team USA e pensavo che avrei giocato questa sfida per il resto della mia carriera. Poi si è arrivati al punto in cui non solo non giocavo, ma non ero nemmeno preso in considerazione. Ciò a cui tenevo moltissimo era diventato qualcosa che ho dovuto quasi dimenticare, accettando che forse non ne avrei fatto mai più parte. Fare pace con questa consapevolezza è stata una delle cose più difficili che io abbia mai dovuto affrontare.
Quando è arrivata la telefonata dalla PGA of America che ti offriva il ruolo di capitano è stato strano riesumare qualcosa che avevi ormai sepolto?
Non mi sarei mai aspettato di essere nominato capitano, è una cosa che va oltre i sogni. È stato uno shock e in parte lo è ancora, ma ho una grande squadra attorno a me e splendidi vice capitani. Non si tratta di me adesso ma dell’intero team, siamo tutti preparati per quello che ci attende.
Qual è un aspetto di questo ruolo di cui non ne avevi la minima idea da giocatore?
Non credevo che ci fosse così tanto lavoro dietro. Non penso che si possa capirlo finché non si ricopre questa posizione. È un impegno 24 ore su 24. Praticamente ogni momento della giornata ho questo in mente. L’unico istante in cui non ci penso è quando gioco. Capisco perché questo ruolo venga affidato a giocatori che sono ormai verso fine carriera. È stato molto impegnativo, ma anche molto stimolante e gratificante, bellissimo. Ora bisogna raccogliere i frutti.
Gestire tutte le responsabilità di un capitano mentre si compete anche sul Tour potrebbe sembrare un freno al proprio gioco, eppure su di te sembra avere avuto l’effetto opposto visti i risultati di quest’anno…
Beh, innanzitutto, nessuno è mai stato davvero nella mia posizione. Se avessero assegnato questo ruolo a Tiger o a Mickelson alla mia età (39), sarebbero comunque stati i migliori giocatori del mondo. Forse ciò che mi ha aiutato è che, quando sono fuori dalle corde e non sto giocando, mi concentro sulla Ryder piuttosto che su cosa non va nel mio gioco. In un modo strano questo mi ha certamente aiutato a performare senza eccessivi stress.
Costruire relazioni salde nel gruppo è essenziale nel ruolo di capitano se si aspira alla vittoria. Come hai gestito questo periodo di avvicinamento all’evento?
Una delle parti migliori è stata conoscere meglio i ragazzi. Ma, sullo sfondo, pensavo anche che sarei stato io questa volta a fare quella scomoda telefonata che nessuno vuole ricevere, una chiamata che io stesso ho ricevuto nel 2023. È particolarmente difficile quando si tratta di giocatori che magari hanno fatto parte delle ultime due, tre o persino cinque edizioni.
Quando diventa normale far parte del gruppo ti aspetti che la chiamata arrivi quasi di conseguenza. La Ryder è una vetrina enorme per ogni professionista, l’apice della carriera, e tocca al capitano comunicare agli esclusi che il loro sogno non si avvererà.
Sono anch’io un giocatore e quando ho ricevuto quella chiamata ho capito che non avevo fatto abbastanza punti e che, se lasci la decisione a qualcun altro, esiste sempre la possibilità di essere esclusi.
Dopo la Ryder al Marco Simone c’era la sensazione, forse accentuata dalla serie Netflix “Full Swing”, che la tua esclusione fosse dovuta al fatto che non facevi parte di un certo “club dei vecchi amici”. Pensi fosse vero e come hai fatto quest’anno le tue scelte sulla base di questo rischio?
No, non penso sia vero. Quello che si è perso di vista è che in parte la responsabilità era anche mia. Avrei dovuto conoscere meglio il resto dei ragazzi del team. Questo significa far parte di una squadra. Devi avere giocatori che, sotto la massima pressione, si sentano a loro agio tra di loro, che sappiano di potersi fidare l’uno dell’altro, che conoscano chi stanno affiancando. Devi guardare alle possibili coppie: questo giocatore può essere accoppiato a tre o quattro compagni diversi o soltanto a uno? Ho capito perfettamente la direzione presa da Zach. Ha scelto giocatori collaudati, vincitori di major e di Ryder nell’ultimo decennio. Nulla di personale.
C’è molto rispetto tra te, Luke Donald e i giocatori europei. Detto ciò, sin dal principio non hanno nascosto i dubbi sul fatto che potessi anche giocare, sostenendo che un capitano-giocatore farebbe due lavori al 50% invece che uno al 100. Tu alla fine hai scelto di fare solo il capitano, ritieni quindi che oggi questo ruolo sia diventato troppo impegnativo per essere, allo stesso tempo, anche protagonista in campo?
Quando sono stato scelto non avevo ancora scelto i miei cinque vice-capitani quindi mi mancava l’idea di quel sistema di supporto al capitano che abbiamo poi sviluppato. Da quando li ho al mio fianco, ognuno con prospettive e capacità uniche, la cosa mi è sembrata molto più gestibile. Penso che essere capitano-giocatore sia oggi qualcosa di molto più impegnativo rispetto ai tempi di Arnold Palmer 62 anni fa. Ho preso questa decisione perché voglio concentrarmi su questo ruolo e perché penso che questi ragazzi siano perfetti per vincere a Bethpage. Certo, non posso negare di essere molto dispiaciuto di non essere in campo, ma ho capito che oggi il mio ruolo è questo e voglio essere in grado di poterlo svolgere al meglio per riportare la coppa a casa.
Quali insegnamenti dei capitani del passato vuoi seguire o semplicemente evitare?
Desidero solo assicurarmi che i ragazzi siano preparati al meglio, che sappiano con chi giocheranno, quale sarà la strategia che adotteremo. Se verranno chiamati per i foursome o solo per i fourball. Se contiamo su di loro o se potrebbero essere riserve. Se giocheranno con quel compagno che usa quel tipo di palla. Questa è la nostra strategia, renderla chiara e inequivocabile a tutti. Più i giocatori sanno e capiscono in che direzione vogliamo andare tutti insieme e meglio giocheranno.
Otto delle ultime nove Ryder sono state vinte dalla squadra di casa. Speri ovviamente che la tendenza continui a Bethpage, ma il formato attuale ha bisogno di modifiche per aumentare l’imprevedibilità?
Questo dimostra quanto sia difficile vincere una Ryder in trasferta. Negli ultimi 20-30 anni questo evento è diventato uno dei più seguiti e popolari al mondo a livello sportivo, qualcosa di più grande persino di un major. Quando devi giocare in un’atmosfera ostile, qualunque sia lo sport, imporsi è ancora più difficile, anche se sulla carta sei la squadra più forte. È la realtà che dobbiamo affrontare e ne siamo consapevoli. L’ultima volta che c’è stato un major a Bethpage (PGA Championship 2019), l’atmosfera era molto calda, con scene che sono andate oltre la tipica passione sportiva newyorkese. Lo stesso in diverse Ryder ospitate dagli americani. Tra i tuoi compiti ci sarà anche quello di cercare di mantenere concentrati i tuoi giocatori in un ambiente che potrebbe diventare davvero infuocato. Ovviamente vogliamo che i tifosi sostengano i nostri ragazzi ma senza che si oltrepassino i limiti ragionevoli di una sana competizione. Noi come giocatori e capitani non possiamo controllare ogni singolo spettatore ma possiamo dare l’esempio in campo. Non vogliamo che i fan influenzino il gioco urlando magari durante un backswing o facendo qualcosa di inappropriato. Detto ciò, Bathpage sarà un campo difficilissimo in cui giocare, proprio come lo è stato il Marco Simone per gli americani. Ed è quello che vuoi come squadra di casa, un ambiante caldo che esalti i tuoi giocatori e incuta timore agli avversari. Per questo è stato scelto Bethpage, dove i tifosi fanno parte del DNA del campo. Gli europei lo sanno bene.
Da ragazzo del Nord-Est, che ha studiato a New York, essere capitano a Bethpage deve sembrarti incredibile.
Ho ricevuto una borsa di studio dalla St. John’s University. Quando sono arrivato non sapevo cosa aspettarmi, non ero mai stato a New York se non di passaggio da bambino. Al college giocavamo sul Black Course ogni lunedì. A quel punto della mia vita non avevo mai visto né giocato un campo da major, e quando arrivai a Bethpage era esattamente come lo immaginavo. Tiger aveva appena vinto lo U.S. Open lì. Potrà sembrare semplice, ma in quel momento ero estremamente grato solo di trovarmi in quella posizione. Altro che aspirazioni da professionista o da grande giocatore: mi sentivo parte di qualcosa di più grande di me.
Tornare dentro questo sogno Ryder Cup che pensavo fosse svanito a Bethpage?
Incredibile, e per questo darò tutto. Lo devo ai miei giocatori, al mio Paese, a tutte le persone legate al campo, e lo devo a tutti i ragazzi che sono stati o saranno in quella mia stessa posizione ai tempi del college.
Con quali giocatori americani sei più entusiasta di lavorare o che il pubblico conosca meglio?
Beh, c’è J.J. Spaun, che non ha mai giocato né una Ryder né una Presidents. È il campione dello U.S. Open, un ragazzo che ha quasi vinto anche il Players. Sono entusiasta per lui perché so cosa sta per vivere. Una cosa è giocare una Ryder ma essere parte di questa sarà diverso. Quella di Bethpage Black sarà la Ryder più incredibile di sempre. Sono entusiasta anche per Russell Henley e non vedo l’ora di vedere nello sguardo di tutti i miei ragazzi quella determinazione che ti porta a dare il 120% in campo. Ricordo ancora tutto della mia prima Ryder: i giri di prova e quanto ero nervoso quando è iniziata venerdì. Ricordo persino la tensione durante la prova del martedì. È un evento diverso da qualsiasi altro.
Il successo per un capitano passo solo attraverso la vittoria?
Conta solo vincere. Questo è l’obiettivo, nient’altro. Qualsiasi cosa che non sia una vittoria non sarà mai un successo. Voglio che i ragazzi si sentano preparati, che avvertano che ci siamo uniti come gruppo, come fratelli, che io abbia creato per loro una settimana che ricorderanno per sempre, dove ci siamo sostenuti a vicenda ed eravamo un’unica realtà.
La famosa valigia non disfatta per Roma è rimasta tale anche per Bethpage alla fine…
*Ho deciso così, anche se è stata una scelta sofferta, e farò di tutto perché questa Ryder Cup non riguardi me, sono i giocatori a vincere le partite. L’ultima cosa che voglio è che l’attenzione torni sulla mia scelta di non giocare, ormai l’ho fatta, ora tocca ai 12 ragazzi che rappresenteranno gli Stati Uniti scrivere la storia, e io farò di tutto perché questo accada.
Keegan Bradley: nel cuore della pressione