Sia chiaro una volta per tutte: qualunque cosa succeda a Bethpage Black a fine settembre, la Ryder Cup resterà un’istituzione finanziariamente solida. La gente, media compresi, si entusiasma ad ogni edizione, e tantissimi sono i fan disposti a pagare il doppio di un abbonamento annuale in palestra pur di passare una giornata cercando di vederla dal vivo. È diventata un evento enorme, e resterà tale per molti anni.
Tuttavia, come scrissi dopo l’edizione del Marco Simone a Roma nel 2023, dal punto di vista competitivo oggi è una sifda spaccata in due. Se hai, diciamo 20 anni, probabilmente non hai alcun ricordo concreto di una Ryder Cup davvero combattuta.
La squadra di casa continua a vincere, e continua a vincere con ampi margini. Per cinque Ryder Cup consecutive – a partire da Gleneagles nel 2014 – ha trionfato sempre il team di casa, e con un margine compreso tra i cinque e i dieci punti. Sarebbero sei di fila, se non fosse stato per la rimonta miracolosa degli europei nel 2012 a Medinah.
In ogni caso, in queste cinque ultime edizioni la sessione dei singoli della domenica è stata interessante solo per gli ottimisti. “Beh, se questi cinque match si ribaltano, allora forse…”. Alcuni anni, come nel dominio americano a Whistling Straits nel 2021, nemmeno gli ottimisti possono fingere che non sia stata una disfatta totale.
Le vittorie casalinghe sono diventate così scontate che, almeno nell’ultimo decennio, si potrebbe sostenere che non esista evento sportivo al mondo in cui il “fattore campo” conti di più che in Ryder Cup.
Ma perché succede questo?
Alcuni dicono che sia una coincidenza storica, come una moneta che cade testa cinque volte di fila. Altri dicono che è perché la squadra di casa può impostare il campo a proprio piacimento. A questo punto, però, è chiaro che si tratta dell’ambiente, e con questo intendo i tifosi.
A parte la Ryder Cup, non esistono vere “trasferte” nel golf professionistico. Non è uno sport di squadra dove giochi metà delle partite fuori casa e puoi almeno provare ad abituarti (e anche lì, il vantaggio del fattore campo è evidente).
Invece, una volta ogni due anni, vieni catapultato in un’arena con decine di migliaia di persone che fanno il tifo contro di te. Non solo è raro, ma quei tifosi sono più vicini al gioco di quanto lo sarebbero in qualsiasi altro sport di squadra. Per quanto i giocatori cerchino di prepararsi mentalmente per quel calderone, o si sentano pronti la settimana precedente, o – come si sente sempre dire – dicano quanto a loro piaccia quell’atmosfera, vengono sopraffatti molto velocemente. Il golf è già uno sport solitario e teso nei momenti migliori, e aggiungere i tifosi più rumorosi dell’anno in un ambiente così di parte è uno svantaggio enorme.
Un’ultima parola sul pubblico: in TV si può vedere quanto siano rumorosi e appassionati, ma finché non ci sei in mezzo non puoi capire davvero cosa significhi quel volume, spesso alimentato dall’alcol. Anche quando si comportano bene, è da pelle d’oca; quando invece perdono il controllo, come è successo ad Hazeltine nel 2016, diventa qualcosa che trascende dallo spirito golfistico e mette a dura prova chiunque, anche i più grandi e navigati campioni del tour.
I tifosi trascinano la squadra di casa, scioccano e poi sotterrano quella ospite, e non sorprende che abbiamo una striscia di vittorie casalinghe lunga un decennio che, come accennato sopra, sarebbe arrivata a nove Ryder Cup consecutive se non fosse stato per il miracolo di Medinah.
Ecco perché dico continuamente che il prossimo risultato davvero significativo in Ryder sarà quando una squadra in trasferta riuscirà a vincere.
Il team Europe 2025 ce la farà a cambiare questo trend?
Ed ecco entrare in scena la squadra europea 2025. Hanno fatto tutto nel modo giusto, e sembra che l’universo stia congiurando a loro favore. Richiamare Luke Donald per un secondo mandato da capitano è un colpo di genio, e solleva anche un’interessante questione storica. Se guardiamo alle ultime cinque Ryder Cup, il capitano in trasferta è sempre stato o etichettato come incompetente, o vittima della sfortuna.
Tom Watson è stato disastroso a Gleneagles, Darren Clarke è sato considerato poco ispirato a Hazeltine, Jim Furyk si è auto-sabotato con scelte discutibili dei giocatori a Parigi, Padraig Harrington si è allontanato dal modello europeo e ha commesso alcuni errori sciocchi a Whistling Straits, e Zach Johnson è ormai visto come un pasticcione, anche se circa metà della sua squadra non era in forma a Roma.
La domanda da porsi è: erano davvero tutti così incapaci, oppure sono semplicemente finiti per sembrare tali perché vincere in trasferta è praticamente impossibile?
Con Donald al timone dell’Europa, possiamo escludere lo spettro della cattiva leadership. Sappiamo già che è un buon capitano, sappiamo che segue il modello collaudato, che prende decisioni ponderate, che i suoi giocatori lo adorano e che è in grado di vincere.
Ha persino gli stessi quattro vice-capitani, incluso il guru delle statistiche Edoardo Molinari. Dietro le quinte, c’è un intero comitato consultivo, composto da veri esperti di Ryder Cup come Paul McGinley, che quest’anno ricopre il ruolo di “consulente strategico”, pronto a supportare il team in ogni modo possibile.
E per quanto riguarda i giocatori? Undici dei dodici sono gli stessi di Roma, e il dodicesimo è il fratello gemello dell’unico che non ce l’ha fatta. A parte forse Shane Lowry, sembrano tutti in forma strepitosa, con vittorie e piazzamenti nei primi cinque a volontà. E con Rory McIlroy e Jon Rahm consapevoli dell’occasione storica per conquistare una vittoria in trasferta tanto sfuggente, la motivazione è alle stelle.
Dal lato americano, sì, ci sono giocatori molto forti, ma anche un capitano inesperto, quattro esordienti e solo tre giocatori con un bilancio vincente in Ryder Cup.
Tutto ciò porta a una sola conclusione: se una squadra in trasferta potrà mai essere competitiva, è questa Europa. Hanno tutto quello che serve per dimostrare che la Ryder Cup non è un’istituzione agonistica in fin di vita, e che sì, una squadra ben guidata e in forma può ancora vincere anche fuori casa.
Ma è qui la parte difficile: deve succedere quest’anno.
Se questa squadra europea non riesce almeno a tenere testa agli americani, e se, nonostante tutto quello detto finora, viene comunque travolta anche questa volta, allora sarà una conclusione definitiva: la squadra in trasferta teoricamente in grado di vincere questa competizione… semplicemente non esiste.
La Team Europe di quest’anno sembra progettato in laboratorio per superare lo svantaggio di giocare davanti a un pubblico ostile. Dovrebbe essere il tanto atteso defibrillatore che questo evento ha bisogno di ricevere. Se non ci riescono loro, non ci riuscirà nessuno, e ci troveremo davanti a decenni futuri di disfatte annunciate.
La Ryder Cup continuerà a vivere di ottima salute economica, certo, ma un altro dominio casalingo a Bethpage sarebbe una notizia davvero deprimente. Al campo ora spetta il verdetto finale.
di Shane Ryan, fonte Golf Digest