La Ryder Cup 2025 è stato uno spettacolo ma anche un pretesto, nobile e meraviglioso, per tornare a respirare una New York inedita, per viverla da nuove angolazioni, con gli occhi colorati di verde e lo sguardo più aperto che mai


New York non si svela mai tutta d’un colpo. È una città che pulsa, stratificata, indomabile, sempre più grande di quanto sembri. Per chi la guarda con occhi nuovi e con il naso all’insù verso le direttrici dei suoi palazzi di vetro che mirano le nuvole, può apparire un’iperbole continua di luci, riflessi, rumore e movimento, sempre troppo grande da contenere in uno sguardo. Per chi la conosce già, sa che il suo incanto vive nei dettagli: in una boccata d’aria a Central Park prima che il traffico riprenda il suo ritmo furioso, nella malinconia di un jazz improvvisato all’angolo tra la 7ma Avenue e la 52sima, nei profili geometrici delle scale antincendio che disegnano la memoria di una città che ha visto tutto e che è state cancellata e ricostruita su sé stessa, innumerevoli volte.

A settembre, questa metropoli camaleontica cede il passo a un battito diverso, più silenzioso e teso: quello di una pallina che rotola verso la buca, mentre migliaia di spettatori trattengono il fiato in perfetto silenzio.

New York, New York

Troppe storie per un breve articolo sul turismo golfistico, “troppi ricordi, non ce la faccio!” direbbero Aldo, Giovanni e Giacomo. Se lo avete tra le mani, date una sfogliata a caso a “I segreti di New York” di Corrado Augias, dove ogni oggetto, ogni palazzo, perfino una statua, raccontano fatti nascosti di grandi personaggi, di altri oggetti e altri palazzi, e così via all’infinito come in un quadro di Escher.

Settembre è forse il mese più indicato per lasciarsi attraversare da questa città. La calura dell’estate si attenua, la luce dorata accarezza i grattacieli e i newyorkesi – tornati in città dopo l’esilio estivo negli Hamptons – riprendono possesso del proprio habitat naturale. Le giornate sono ancora lunghe, i parchi rigogliosi, le terrazze all’aperto vivaci e frequentatissime.

Per chi vuole cogliere il battito autentico della città, le opzioni sono pressoché infinite.

Un brunch al Chelsea Market o una passeggiata nella High Line, sospesi tra architettura e natura urbana, sono solo l’antipasto. Il rinnovato Meatpacking District è sempre più un melting pot gastronomico e creativo: tra le novità più interessanti, per chi manca da qualche anno, il ristorante “The Nines” – un elegante supper club con piano bar e un’atmosfera lussuosa, spesso con DJ, che propone una cucina americana sofisticata – oppure i cocktail bar nascosti come il “Double Chicken Please”, recentemente entrato nella top 10 mondiale per originalità e concept.

Chi ama l’arte e la cultura non potrà mancare le suggestive installazioni immersive e le esposizioni di arte contemporanea del MoMA PS1, sempre all’avanguardia nell’esplorazione artistica, o una visita al Perelman Performing Arts Center (PAC NYC), inaugurato di recente e già simbolo di una Downtown che guarda al futuro senza dimenticare il passato. 

E per chi ha gusti più classici? Broadway, naturalmente, dove godersi gli intramontabili The Lion King, Wicked, Aladdin ma anche il consolidato MJ, il musical su Michael Jackson, e il notevole The Great Gatsby, che ha debuttato nella primavera 2024 e ha già acceso i riflettori della critica.

E poi ci sono gli stadi: i Mets nel Queens, gli Yankees nel Bronx, ma anche le partite di pre season della NFL e le prime sfide dello U.S. Open di tennis a Flushing Meadows, dove Jannik Sinner dovrà difendere il titolo vinto lo scorso anno. L’aria è frizzante, quasi fosse frutto di un allineamento stagionale perfetto tra energia urbana e voglia di ricominciare.

New York è una scommessa d’amore, canta Cesare Cremonini.

In settembre, è una promessa mantenuta: ti prende per mano senza fretta, ti invita a rallentare il passo e a respirare, anche solo per un momento. Prima di risalire su un taxi, prendere un ferry o…impugnare un ferro 7.

Bethpage Black: New York chiama Europa

C’è qualcosa di teatrale, quasi brutale, nell’architettura del Bethpage Black, un tempio del golf costruito con orgoglio per essere temuto, dove ogni swing diventa una dichiarazione di coraggio.

Nessun campo da golf in America grida “attenti” con così tanta sincerità: lo fa già dal cartello all’ingresso del tee della buca 1, dove si legge “Warning: The Black Course Is An Extremely Difficult Course Which We Recommend Only For Highly Skilled Golfers.” È un avvertimento, certo. Ma anche una sfida. E una promessa.

Incastonato nella campagna ondulata di Long Island, a circa un’ora da Manhattan, il Bethpage State Park Golf Course ospita cinque percorsi pubblici, ma il Black è il cuore pulsante del complesso, l’icona, il campo leggendario progettato da A.W. Tillinghast nel 1936 e adottato da generazioni di golfisti come banco di prova definitivo. Un tracciato muscolare, lungo, faticoso, dove la precisione è una virtù e la resistenza una condizione necessaria. Qui ogni colpo è guadagnato con il sudore e con il sangue…freddo.

Il terreno è severo e bellissimo: green incastonati tra bunker profondi come ferite e fairway che si restringono man mano che si avvicina il pericolo. A settembre, i rough saranno alti, pieni, vibranti di un verde nervoso, e le tribune colme di spettatori accalcheranno ogni buca in un silenzio sospeso che anticipa l’applauso o il mormorio.

Tra le più iconiche, la buca 4, un par 5 lungo e sfidante.

Dal tee la vista è intimidatoria: si precipita per poi intraprendere un viaggio in salita tra dune erbose, bunker grandi quanto New York e ostacoli invisibili finché non ci sei dentro. La buca 5, un par 4 caratterizzato da un doppio dogleg, mette alla prova la linea di tiro sin dal primo colpo: la tentazione di accorciare è grande, ma spesso punita. E poi c’è la 15, par 4 da cartolina e incubo strategico, dove il tee shot si apre su un corridoio alberato che sembra stringersi col battito del cuore.

Infine, la buca 18, la degna conclusione di un round che è più una maratona mentale che una semplice partita: par 4 in leggera salita, green difeso da bunker massicci e circondato, nel caso della Ryder, da migliaia di occhi puntati. Ogni pallina che arriverà lì sarà un epilogo epico o una condanna silenziosa. A Bethpage, niente è banale. E nulla è facile.

Chi gioca qui non cerca comfort, cerca verità: la propria, quella del campo, quella del gioco. Se fosse un romanzo, lo avrebbe di certo scritto Hemingway. Ecco perché è il teatro perfetto per la Ryder. Ecco perché, a settembre, l’America e l’Europa si misureranno anche con se stesse.

Oltre Bethpage: a un’ora da Manhattan

Ma Bethpage non è l’unico green a brillare nell’area metropolitana: ci sono altri percorsi pubblici che meritano una menzione, e che raccontano una New York diversa, meno turistica, ma altrettanto magnetica.

A meno di un’ora da Manhattan, il Bally’s Golf Links at Ferry Point è un campo spettacolare disegnato da Jack Nicklaus su una ex area industriale, oggi trasformata in paesaggio links-style (si sviluppa tipicamente lungo la costa e con nessun albero a interrompere il vento) che guarda l’East River e il profilo dei grattacieli come fossero spettatori silenziosi. Le condizioni metereologiche qui sono un protagonista imprevedibile, i fairway ondulati tagliati alla perfezione e i bunker scolpiti con rigore scozzese. Da non perdere la buca 18, con vista sull’iconico Whitestone Bridge: un finale teatrale degno del palcoscenico newyorkese.

Spostandosi verso nord, nella quiete bucolica della Hudson Valley, il The Links at Union Vale offre un’esperienza profondamente diversa. Campi dorati, colline morbide, vento gentile e una club house che sembra uscita da una rivista di design nordico. Il layout, vario e scorrevole, regala colpi spettacolari senza mai esasperare la difficoltà. La buca 9, un par 4 in discesa con vista aperta sulla campagna circostante, è uno di quei momenti in cui il golf si fonde con la contemplazione.

Per chi cerca sfida pura, il Pound Ridge Golf Club, progettato da Pete Dye, è una perla incastonata nel verde del Westchester County. Tecnico, selettivo, intimo, il percorso porta i golfisti in un’avventura, con una miriade di buche avvincenti, green veloci e fairway che chiedono rispetto. Il campo gioca con l’acqua, con la psicologia, con la strategia. La buca 15 è un abbraccio con Madre Natura: un par 3 da cartolina incorniciato da rocce e stagni dove bellezza e difficoltà si danno appuntamento nel silenzio.

Infine, il fascino rétro del Lido Golf Club, affacciato sull’oceano, è l’ideale per chi ama la brezza salmastra e i panorami marittimi. Meno celebrato ma non meno suggestivo, il Lido alterna buche esposte a venti impetuosi ad altre protette da dune sabbiose e vegetazione costiera. La sua storia è antica e affascinante, e l’aria qui sa di sale, di ricordi, di swing che si perdono tra il mare e il cielo. La buca 16 – nota come “doppia isola” – è  un par 5 bagnato da due bacini d’acqua, che offre opzioni da commisurare alla propria propensione al rischio.

Volete un riferimento bibliografico per aggiungere un po’ di poesia al vostro viaggio? 

La casa estrema di Henry Beston è il compagno ideale. Certo, le dune di Long Beach sono un po’ meno selvagge di quelle di Cape Cod, ma non poniamo limiti alla fantasia. Questa la nostra selezione dei club accessibili a visitatori esterni, per soddisfare tutti i gusti e incoraggiarvi a scoprire una New York al di fuori di Manhattan. Ma la scelta di campi da golf è davvero sterminata, ciascuno con il proprio carattere, il proprio ritmo, la propria voce.  La maggior parte dei circuiti americani in quest’area sono privati. Tuttavia, uno merita una menzione speciale e per parlarne ci prendiamo una piccola licenza rispetto alla destinazione di questo articolo: cambiamo stato ma ci spostiamo di pochi chilometri per approdare al Liberty National Golf Club, sulla costa del New Jersey. Se avete la fortuna di conoscere un socio, fatevi invitare! Lì potrete godere di un panorama unico al mondo e misurare ogni colpo sotto lo sguardo accogliente della più famosa delle statue. Avete capito, vero?

Una luogo, mille tee time

New York, alla fine, è proprio questo: una fusione continua di contrasti, una sinfonia di dettagli, una città che riesce a parlare al golfista come al viaggiatore, all’amante dell’arte e al viveur metropolitano. Dove puoi iniziare la giornata davanti a un green tagliato al laser e finirla con un Martini guardando tramontare il sole dietro la Statua della Libertà. Proprio lei!

La Ryder Cup 2025 è stato uno spettacolo ma anche un pretesto, nobile e meraviglioso, per tornare a respirare questa città inedita, per viverla da nuove angolazioni, con gli occhi colorati di verde e lo sguardo più aperto che mai. 

Per scoprire, o riscoprire, quanto New York sia una destinazione non solo da visitare, ma da cui farsi attraversare periodicamente, anche solo per il tempo di un round. Perché in fondo, come scrive Don DeLillo, “ogni cosa è in movimento e New York è il movimento stesso”. Stavolta però, quel movimento segue la traiettoria precisa di una pallina bianca, sospesa tra due continenti, diretta verso la storia.