Il 125° U.S. Open, il terzo major della stagione, promette di essere una sfida impari a favore di Oakmont che sarà il banco di prova più duro mai preparato dalla USGA nella storia del torneo.
Sappiamo come il golf non sia uno sport per deboli di cuore. Lo U.S. Open lo ricorda ogni anno a tutti: pubblico, addetti ai lavori e soprattutto protagonisti in campo. Il torneo è da sempre uno dei più affascinanti e temuti dai giocatori. Nel 2025, il terzo major della stagione alzerà ulteriormente l’asticella
Il ritorno dello U.S. Open all’Oakmont Country Club, in Pennsylvania, è sinonimo di un test estremo, quasi brutale
Il 18 buche americano è stato palcoscenico di ben 12 tornei maschili dello Slam nei suoi 122 anni di storia ed è qui che la USGA vuole mettere in scena la sua visione più pura e spietata del golf: fairway stretti come marciapiedi, rough alti e densi come foreste in miniatura, green che potrebbero tranquillamente servire da pista per il curling tale è la loro velocità. Nessuna sede più di Oakmont incarna la filosofia del “par è un buon punteggio”, e nessuna location ha una storia altrettanto radicata nella leggenda dello U.S. Open.
Fondato nel 1903, Oakmont ha ospitato nove edizioni dello U.S. Open, nessun altro campo ha fatto di più, e ogni volta è stato teatro di momenti indimenticabili: dal trionfo di Johnny Miller nel 1973 (che con un giro finale pazzesco in 63 colpi superò John Schlee), al finale thriller di Dustin Johnson nel 2016.
Oakmont: un campo che non ammette errori
Il campo progettato da Henry Fownes, con le sue famigerate “church pews bunkers”, è stato preparato per questa edizione con ancora maggiore attenzione alla durezza: si prospettano i green tra i più veloci mai visti e un rough al limite della giocabilità. Non è un caso che molti giocatori nei mesi scorsi abbiano incluso nel loro programma tornei con green simili e abbiano fatto sopralluoghi multipli a Oakmont: è un campo che non ammette errori né mancanza di preparazione.
Nel 2016 la pioggia della prima giornata diede l’illusione di “ingentilire” il campo. Pura illusione: le terribili posizioni delle bandiere misero a dura prova i migliori al mondo. Il finale fu da cardiopalma: dopo aver concluso con 68 colpi e il totale di -5, Dustin Johnson fu penalizzato perché la sua palla si mosse sul green della buca 5. L’assoluzione iniziale si trasformò in un colpo di penalità ma DJ rimase solitario al comando con 276 colpi. Lui, con Jim Furyk, Shane Lowry e Scott Piercy, appaiati a -1, furono gli unici giocatori del field a terminare sotto il par.
Se il percorso sarà probabilmente il vincitore, la curiosità sarà catalizzata dal duello che ha segnato la prima metà del 2025: quello tra Scottie Scheffler e Rory McIlroy.
Il numero uno e due del mondo per ora si sono spartiti la posta: Rory ha vinto il Masters completando il Grande Slam, Scottie ha risposto conquistando il terzo major in carriera, primo fuori dai cancelli di Augusta.
Il 125° U.S. Open rappresenta il crocevia perfetto: due fuoriclasse in forma, due stili diversi, un unico obiettivo, la vittoria.
Il numero uno ha dalla sua una consistenza e una tecnica che pochi possono vantare e gli permettono, in alcuni momenti, di macinare il campo come un robot. Proprio questa attitudine chirurgica potrebbe fare la differenza a Oakmont, dove evitare errori è spesso più importante che produrre magie.
In compenso se Rory è in giornata è ingiocabile per tutti. Al PGA Championship ha pagato un primo giro disastroso ma se parte bene ed entra in contention nel weekend diventa l’uomo da battere.
Scottie è leader nella statistica dal tee al green, Rory in quella off the tee. Inoltre, sono i primi due per media score, con l’americano (68,796) che ha mezzo colpo in meno del nordirlandese.
125° U.S. Open: un cast che promette scintille
Jon Rahm, pur con alti e bassi nella prima metà di stagione, resta un pericolo costante, soprattutto se il vento si alza e i colpi richiedono di lavorare la palla. Viktor Hovland, con il suo gioco sempre più completo, ha tutte le carte in regola per resistere alla sfida fisica e mentale di Oakmont, mentre Xander Schauffele, che di major ne ha vinti due lo scorso anno, sembra pronto per il tris.
Da non sottovalutare Cameron Smith, la cui abilità col putt potrebbe diventare un fattore determinante se i green si riveleranno ingestibili. Occhio anche ai giovani in rampa di lancio: Ludvig Åberg, già top ten mondiale e con l’esperienza Ryder a incoronarlo tra i grandi, Tom Kim, con età anagrafica incongruente con l’esperienza nei tornei più importanti, e Min Woo Lee, incognita affascinante.
Saranno della partita ben tre italiani
Proprio quando le speranze azzurre sembravano svanite Giudo Migliozzi, Edoardo Molinari e Andrea Pavan si sono qualificati a Walton-on-the-Hill in uno dei tornei di qualifica.
Migliozzi ha completato il torneo addirittura al secondo posto, mentre Molinari e Pavan sono riusciti a staccare due degli otto pass addirittura al play off dopo le 36 buche di qualifica. Per i tre vale quanto detto in precedenza: la precisione ed efficacia sui green farà la differenza.
Dodo si godrà al 110% l’evento. Poterlo giocare a 44 anni è un tributo alla sua carriera ma attenzione perché la mancanza di pressione può essere un vantaggio. Il suo gioco da tee a green è spesso a livello dei migliori e sappiamo come il putt sia un bastone che può improvvisamente funzionare bene.
Per Pavan la sfida sarà prevalentemente mentale: reggere la pressione nei momenti chiave e trovare quella fiducia nel putt che può fare la differenza tra taglio superato e sogni più ambiziosi. Migliozzi è il più giovane e forse il più esplosivo dei tre. La sua attitudine aggressiva deve però essere tenuta a bada su un campo come Oakmont. Il vicentino ha già dimostrato di sapersi adattare e i suoi precedenti parlano per lui: due apparizioni con quarto e 14° posto. Non è intimidito dal palcoscenico più grande, anzi, spesso tira fuori il meglio.
Il 125° U.S. Open sarà, come sempre, una prova di sopravvivenza più che una gara a chi fa più birdie
Oakmont esige precisione, pazienza e sangue freddo. La USGA ha già fatto sapere che il punteggio vincente potrebbe essere sopra il par e questa è la dichiarazione d’intenti più eloquente possibile. Volete un esempio? La buca 8, un par 3 di 260 metri, il più lungo nella storia dei major.
