Il nostro lavoro ci regala momenti indimenticabili e a volte del tutto inaspettati. Recarsi all’Open Championship da spettatore è un’esperienza imperdibile, un must per chi ama questo sport, la possibilità di respirare in prima persona la vera essenza del golf.

Farlo da addetti ai lavori amplifica questo piacere, permettendoci di trasferire anche in piccola parte le emozioni e l’atmosfera di un torneo magico e unico al mondo.

Il martedì per i protagonisti è giorno di pratica, di ricerca della concentrazione, di rifiniture e strategie, tra driving range, putting green e campo.

Un campo da sogno

Nel vedere per la prima volta il Dunluce Links del Royal Portrush la domanda è d’obbligo: perché la Royal & Ancient ha aspettato 68 anni per tornare a disputare l’Open Championship a queste latitudini? Un capolavoro golfistico immerso tra enormi dune a pochi passi dal mare, un percorso che colpisce per il suo carattere, per le sue buche mai ripetitive, immerso in uno scenario da cartolina.

“I green sono un po’ morbidi” i commenti strappati ad alcuni marshall del luogo che lo conoscono come le loro tasche. “Questo è un campo capace di fare male se giocato in condizioni estreme. Bisogna conoscerlo e rispettarlo sennò ti punisce severamente”.

Dell’acqua e del vento per ora nessun segnale ma il torneo, secondo le previsioni meteo, dovrebbe invece riservare situazioni molto diverse da quelle viste in questi giorni di prova.

Tempo di affilare i bastoni

Il driving range è stracolmo sin dalle primissime ore del mattino: non manca nessuno e ovviamente nemmeno Francesco Molinari che ieri ha riconsegnato ufficialmente la Claret Jug nelle mani di Martin Slumbers, CEO della Royal & Ancient.

Quando si alza quella coppa, la Coppa per eccellenza del golf, nulla rimane come prima. Chicco invece sì, il suo atteggiamento è quello di sempre, l’attenzione al lavoro maniacale, seguito come un’ombra dal suo team. Dave Alred, performance coach, snocciola dati Trackman alla mano ad ogni colpo, Denis Pugh, suo allenatore da una vita, lo segue attento, il caddie Pello Iguaran commenta con lui ogni dettaglio, sempre alla ricerca della perfezione assoluta.

È lui l’uomo della vigilia, l’ultimo Champion Golfer of the Year, il personaggio che i media di tutto il mondo vogliono anche solo per una battuta. Un saluto rapido a noi e poi testa bassa a tirare palline su palline. È il Chicco solido e precisio, motivato più che mai, il Laser Frankie che ha stupito il mondo lo scorso anno.

On the field Molinari è Laser Frankie

Lo seguiamo qualche buca dalla 1, l’atmosfera che circonda lui e il suo team è di assoluta concentrazione ma rilassata allo stesso tempo, la gente lo acclama ad ogni passaggio, lui non nega un saluto a tutti.

Alred gli sta alle calcagna come un mastino nel fargli giocare ogni buca una serie di colpi da situazioni potenzialmente complicate intorno ai green, in una sorta di contest contro sé stesso con l’obiettivo di rendere il gioco sempre più solido.

La buca 5 è la signature course di Portrush, il ‘place to be’ per assaporare appieno la bellezza di questo links. Il green sembra finire nel Mare del Nord, con l’out a due passi dalla scogliera a picco sulla lunga spiaggia. Il sole improvvisamente accende i colori e sullo sfondo la sagoma del Dunluce Castle chiude uno scenario da cartolina. Difficile trovare un luogo al mondo più bello di questo per giocare a golf.

Sul tee della vicina buca 6 la celebre panchina con la scritta ‘Royal Portrush Golf Club’ è un invito a mille selfie da parte di caddie e giocatori prima di concentrarsi sull’insidioso green posto a 194 yard.

Stenson: dov’è il Dunluce Castle?

Passa Henrik Stenson, Open Champion 2016 a Troon. Con lui c’è Stewart Cink, passato alla storia più per aver strappato dalle mani di Tom Watson a Turnberry la Claret Jug numero sei della leggenda americana che per il suo successo personale. Stenson prende la macchina di un fotografo e con il teleobiettivo si gode lo spettacolo del Dunluce Castle in primo piano.

Brandon Stone, che lo scorso anno ha dominato lo Scottish Open, arriva sul tee strappa dalle mani lo smartphone del caddie e gli dice: “Siediti, ti faccio una foto, questo merita davvero”.

Non c’è giocatore che non si fermi un secondo a contemplare questo paradiso prima di tornare alla realtà di un torneo che può cambiare una carriera e una vita.

E improvvisamente apparve lei…

Non manca nulla, è tutto qui, in questo meraviglioso scorcio di Irlanda del Nord la vera essenza dell’Open Championship e del golf. Il suo simbolo, quella brocca argentata dal fascino unico, appare invece all’improvviso, quasi magicamente, a chiudere un cerchio perfetto.

A portare la Claret Jug, proprio quella appena riconsegnata da Chicco, uno dei ragazzi della IMG, che con rigorosi guanti la estrae dalla sua urna protettiva, per metterla sulla staccionata di fiano al tee della buca 6 per uno dei tanti filmati ufficiali pre Open.

Inutile dire che tutto magicamente si ferma; il suo scintillio e la sua inequivocabile forma catturano gli occhi di tutti. I caddie di ogni giocatore di passaggio, mollano la sacca ed estraggono lo smartphone. Marshall, arbitri, nessuno si vuole perdere questo momento con la vera protagonista.

I giocatori gli passano a pochi metri, un’occhiata, un sorriso, mille pensieri, un sogno, sollevarla chissà un giorno, magari proprio domenica pomeriggio. Nessuno azzarda un selfie in una sorta di rispetto quasi religioso per il simbolo più iconico del golf mondiale.

Pochi minuti e la coppa torna nel suo anonimo involucro, destinazione club house, in attesa del nuovo Champion Golfer of the Year. Come una bella e affascinante donna toglie il disturbo, lasciando la vetrina ai protagonisti del campo.

Ora tocca a loro e al Dunluce Links incoronare un nuovo nome degno di essere inciso nel suo basamento dopo quello di Francesco Molinari.